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Empatia, di che cosa si tratta? Ne sentiamo parlare spesso, soprattutto in presenza di situazioni negative o traumatiche, ma sappiamo davvero cosa significa? Essere empatico non equivale ad essere “sensibile” o “emotivo”. Significa entrare nello stato d’animo di un’altra persona e comprenderne il contenuto più profondo.
L’empatia è spesso considerata una virtù, tuttavia questo non è completamente vero. Infatti, si può essere educati all’empatia e imparare ad utilizzarla nel modo migliore. Approfondiamo insieme l’argomento.
Empatia, Definizione
Empatia deriva dal greco “empatéia”, a sua volta composta da en-, “dentro”, e pathos, “sofferenza o sentimento“. Comunemente viene definita come la capacità di mettersi nei panni dell’altro. Fin qui, penserete, nulla di nuovo. In realtà questa definizione in psicologia è molto più complessa di quanto possa sembrare.
Quanto più siamo infelici, tanto più profondamente sentiamo l’infelicità degli altri; il sentimento non si frantuma, ma si concentra.
Fëdor Dostoevskij
Abilità di Base dell’Empatia
Metaforicamente il “mettersi nei panni dell’altro” richiama l’immagine di indossare i vestiti di un’altra persona, ovvero di sentire quello che prova lei come se fossimo nella sua situazione, al posto suo. Per fare questo, sono necessarie diverse abilità.
- Innanzitutto l’atteggiamento empatico prevede il saper identificare e riconoscere l’emozione che l’altro prova. Dobbiamo sapere cos’è la tristezza, ad esempio, prima di poterla attribuire ad un’altra persona.
- In secondo luogo è importante essere capaci di sintonizzarsi con il vissuto dell’altro, sia a livello cognitivo che emotivo, mettendosi sullo stesso piano. “”Sentirsi” come si sente l’altro nelle emozioni, nelle sensazioni e nei pensieri che sperimenta. Una capacità che gioca un ruolo importante anche nel processo di costruzione della rappresentazione sociale. Questo è più facile se si è già sperimentata quella stessa situazione e se siamo affettivamente vicini all’altra persona.
- Una volta interiorizzato lo stato dell’altro, bisogna essere in grado di rispecchiare il suo vissuto interiore, permettendogli di “vedersi dall’esterno” e di percepire che non è più solo. Noi siamo con lui, sappiamo cosa prova.
- Occorre, infine, avere delle buone capacità di autoregolazione emotiva sia per non confondere l’emozione dell’altro come la propria sia per evitare di venire “inghiottiti”.
Significato di Empatia
Essere empatici, dunque, significa possedere due tipi di competenze:
- Empatia cognitiva: è la capacità di percepire una prospettiva diversa dalla propria per poter comprendere pensieri, comportamenti ed emozioni altrui. È utile anche nella risoluzione dei problemi e nel prendere decisioni. Per fare ciò, è necessaria la capacità di decentrarsi da sé.
- Empatia emotiva: è la risposta emotiva che sappiamo restituire all’altro. È data dalla consapevolezza del vissuto dell’altro e dall’abilità di condividere con lui quello che prova.
Queste due componenti sono indagate attraverso il TECA, Test per l’Empatia Cognitiva e Affettiva. Somministrabile dai 16 anni, il TECA valuta globalmente l’empatia in contesti clinici, sociali ed organizzativi.
Vediamo ora perché esiste l’empatia e come fa l’essere umano ad essere empatico.
Le neuroscienze letterarie nascono per scoprire che cosa succeda nella nostra testa quando stiamo leggendo. Potrebbe sembrare incredibile ma, ogni libro sfogliamo, costruisce sinapsi tra le cellule nervose e crea, pagina dopo pagina, storia dopo storia, una rete di ponti tra i neuroni. Oltre a influenzare la nostra identità, secondo il team dell’Università di Modena e Reggio Emilia che ha condotto una ricerca sperimentale, «leggere può portare potenzialmente a una riduzione del pregiudizio nella realtà». Per approfondire il tema e per gli amanti di Harry Potter, date un occhio a questo articolo pubblicato sul Journal of Applied Social Psychology. Secondo i ricercatori, il primo volume di Harry Potter fa riflettere i ragazzi sulla discriminazione di cui sono oggetto alcuni gruppi sociali.
Intelligenza Emotiva
Di solito una persona non è solo empatica, ma possiede diverse competenze di tipo sociale che usa quotidianamente. Abbiamo visto che l’empatia stessa è un concetto di gran lunga più complicato di quanto normalmente si pensi.
Una teoria particolarmente famosa sull’empatia è quella di intelligenza emotiva, proposta da Salovey e Mayer (1990) e rielaborata da Goleman (1995). L’autore la definisce come la “capacità di riconoscere i nostri sentimenti e quelli altrui, di motivare noi stessi, e di gestire positivamente le nostre emozioni, tanto interiormente quanto nelle relazioni sociali”. Vediamo più nel dettaglio quali le competenze specifiche di chi possiede intelligenza emotiva:
- Consapevolezza di sé: essere consapevoli vuol dire saper riconoscere le proprie emozioni, i propri punti di forza e di debolezza, nonché essere sicuri delle nostre capacità.
- Autoregolazione: è la capacità di saper controllare i propri comportamenti e le proprie emozioni, in modo da raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati.
- Competenza sociale: riguarda le modalità che utilizziamo per interagire con l’altro e le capacità che abbiamo di indurre nell’altro delle specifiche risposte.
- Motivazione: è l’aspetto che promuove la realizzazione dei propri obiettivi, mantenendoli stabili nel tempo e permettendoci di raggiungerli.
- Empatia: intesa come la capacità di comprendere l’altro nella sua totalità, sia per soddisfare i bisogni dell’altro che per raggiungere i propri. Assente nel narcisismo.
L’intelligenza emotiva è anche nota come “quoziente emozionale”. Si tratta di una delle abilità o qualità più incisive dei leader di successo nell’esercizio della loro leadership.
Ted Goleman, Intelligenza Emotiva: Capire le emozioni, analizzare il linguaggio del corpo e gestire rabbia e ansia. Sviluppare l’empatia e trasformare il pensiero negativo per aumentare la fiducia in sé stessi.
Funzione dell’Empatia
L’empatia è dunque una competenza fondamentale che sta alla base delle interazioni sociali. È utile per instaurare e mantenere rapporti sociali soddisfacenti e gratificanti, sia nel privato che nel contesto lavorativo (vedi anche: psicologia del lavoro). La sua funzione principale è quella di creare una rete di relazioni intorno alla persona. Come abbiamo detto, l’uomo è un animale sociale. Ciò non significa che l’empatia sia una caratteristica peculiare dell’essere umano: è presente anche nel mondo animale.
Solitamente si attribuiscono maggiori capacità empatiche alle donne, mentre gli uomini vengono concepiti come più cognitivi ed orientati al compito. Questo può essere legato ad un discorso di origine evolutiva. Tuttavia, ogni persona può essere empatica. Attenzione a non cadere in un ragionamento sessista!
Oltre a questo scopo, ad oggi l’empatia viene sfruttata dai mass media per raggiungere altri obiettivi, come ad esempio per incrementare l’efficacia del marketing.
Empatia e Neuroni Specchio
La scoperta neurobiologica dell’empatia è tutta italiana, a carico di Rizzolatti e Sinigaglia, che nel 2006 hanno scoperto il meccanismo alla base dell’empatia. Sono stati individuati nella corteccia premotoria e parietale posteriore i neuroni specchio o mirror neurons. Si tratta di neuroni con una caratteristica interessante, quella di attivarsi sia quando compiamo un’azione in prima persona che quando osserviamo qualcuno compierla.
Questo meccanismo ha permesso all’uomo di sopravvivere così a lungo e di adattarsi a contesti differenti. Sono neuroni responsabili di tutti i comportamenti che apprendiamo tramite imitazione, oltre che del linguaggio. La scoperta interessante è che i neuroni a specchio sembrerebbero implicati anche della nostra capacità di essere empatici.
Specchi nel cervello. Come comprendiamo gli altri dall’interno. Di Rizzolatti e Sinigaglia (2018).
Partecipare come osservatori di azioni, sensazioni ed emozioni di altri individui attiva le stesse aree cerebrali coinvolte, di solito, nello svolgimento in prima persona delle stesse azioni e nella percezione delle stesse sensazioni ed emozioni. Vediamo così l’altro come capace di avere una vita interiore simile alla nostra, tanto da sentirci partecipi del suo dolore o della sua gioia. Rimaniamo consapevoli della distanza tra noi e l’altro, allo stesso tempo siamo però capaci di comprendere le esperienze interiori altrui e di comunicare questa nostra comprensione.
Recentemente si è scoperto che i neuroni specchio si attivano anche quando semplicemente immaginiamo di compiere un’azione come se, di fatto, per la nostra mente avessimo davvero messo in atto un certo movimento. L’immaginazione motoria è estremamente utile in ambiti come lo sport e la neuro-riabilitazione (vedi anche: Parkinson), perché permette di allenare specifici circuiti cerebrali semplicemente rappresentandoli cognitivamente.
- Interessante anche il concetto di transfert e controtransfert in terapia
Empatia in Psicologia
L’empatia è un concetto molto importante in psicologia, poiché permette di accedere e di interagire con lo stato d’animo di un’altra persona. Questo concetto nasce in ambito psicoanalitico da autori come Freud e Kohut, che hanno cominciato ad utilizzare l’empatia come strumento terapeutico. Secondo questa prospettiva, il terapeuta empatico proietta il suo Sé osservante (coscienza) nello spazio interiore del paziente che ha di fronte. A questo segue un’identificazione transitoria con il suo vissuto emotivo e una successiva presa di coscienza da parte del terapeuta.
L’obiettivo in terapia non è solo quello di comprendere e comunicare la propria comprensione. Lo scopo è quello di andare più a fondo per capire l’origine del malessere o dello stress di una persona. Questo non può prescindere dall’instaurare un contatto emotivo con l’altro.
Un discorso di questo tipo è applicabile anche a un campo come quello dei DSA, in cui è importante sintonizzarsi sulle difficoltà dell’altro per dare vita a una condivisione costruttiva. Per approfondire questo argomento, ecco gli articoli dedicati:
Il concetto di empatia si è in seguito evoluto, includendo anche la componente cognitiva di cui abbiamo parlato prima. Il terapeuta, infatti, deve stabilire un coinvolgimento emotivo ottimale, ovvero saper regolare la preoccupazione empatica per comprendere lo stato dell’altro e condividere le sue difficoltà senza essere trascinato da esse. Questo permette di essere sia di conforto che di supporto, fornendo un aiuto concreto.
Non solo, vi è anche la relazione opposta: l’individuo, attraverso le modalità comunicative dello psicologo, deve sentirsi vicino a lui. Così si sentirà fiducioso e incoraggiato e potrà raggiungere una buona autonomia.
Negli anni ’40 Carl Rogers propose un modello di intervento psicologico che ancora oggi è molto conosciuto e affermato: “l’approccio centrato sulla persona“. È una forma di psicoterapia focalizzata sull’importanza del concetto di empatia, intesa come la possibilità della persona di auto-comprendersi per trovare soluzioni per le proprie difficoltà.
Empatia Negativa
Non sempre siamo capaci di mantenere la giusta distanza quando ci sono di mezzo di emozioni, soprattutto quando l’altro è coinvolto in eventi di vita particolarmente negativi come il lutto. Quando ciò non avviene, possono verificarsi conseguenze spiacevoli, come quella di “acquisire” le sensazioni negative e l’ansia dell’altra persona. Esiste infatti una forma di empatia negativa, intesa come un eccessivo coinvolgimento nel vissuto emotivo dell’altro. Infatti, un conto è identificare e condividere lo stato d’animo di un’altra persona, un altro è esserne “risucchiati”. In questo caso si parla di contagio emotivo, molto frequente in età adolescenziale. Trovare la giusta distanza tra noi e l’altro non è affatto così semplice, soprattutto se percepiamo la sofferenza di una persona a cui vogliamo bene.
Entrare dentro la sofferenza e il malessere dell’altro può mettere a dura prova la nostra resilienza, riportando a galla esperienze negative vissute in passato e minando la nostra salute emotiva e psicologica. Inoltre, un coinvolgimento troppo forte può impedirci di essere davvero d’aiuto all’altra persona perché il dolore può annebbiare la nostra capacità di ragionamento.
La “dispatia” è un nuovo termine coniato per indicare a capacità di gestire con successo il contagio emotivo. Non è da intendersi in modo negativo: è l’azione cognitiva messa in atto per compensare l’empatia e proteggersi dalle emozioni dell’altro. In questo periodo di coronavirus talecapacità potrebbe evitarvi di essere coinvolti in momenti di angoscia e preoccupazione collettiva.
Empatia e Psicopatologia
Problemi di empatia contraddistinguono alcune problematiche psicologiche, prime fra tutte quelle di personalità. Deficit di questa capacità sono presenti in tutti i disturbi di cluster B, ovvero nei disturbo istrionico, narcisistico, antisociale e borderline di personalità. Questi disturbi di personalità si caratterizzano, infatti, per aggressività e difficoltà nelle relazioni interpersonali causate anche dalla scarsa comprensione delle emozioni altrui e dall’incapacità nella regolazione delle proprie. (vedi anche: Bullismo).
Nell’autismo c’è una sostanziale mancanza di empatia, probabilmente a causa del ridotto funzionamento di questo tipo di neuroni. Le persone autistiche possono imparare a comportarsi in modo empatico perché si adattano al contesto sociale, senza tuttavia provare realmente le emozioni dell’altro. Vedi anche: Disabilità e stress genitoriale
La mancanza di empatia, inoltre, è un tratto dei soggetti che compiono crimini a sfondo sessuale: i sex offender. Un deficit nella capacità di comprendere emozioni e pensieri della vittima fa sì che non vi sia dispiacere per le azioni commesse, né tanto meno la percezione della loro gravità.
Empatia: 5 Strategie per Svilupparla
Una persona può essere, di base, più o meno empatica. Si parla infatti di predisposizione all’empatia. Ad ogni modo, è possibile incrementare questa competenza e imparare a padroneggiarla per migliorare le nostre relazioni sociali e difenderci dalle emozioni negative di altri. Anche in un percorso arduo come quello di affido o adozione, sviluppare empatia è importante per sintonizzarsi sul vissuto emotivo dell’altro. In questo modo, elaboriamo il cambiamento al meglio.
Le strategie per diventare empatico sono differenti e cambiano anche a seconda dell’approccio psicologico che decidiamo di adottare. Qui vedremo 5 strategie su come sviluppare empatia genuina, piuttosto semplici da applicare nella vita di tutti i giorni.
Conoscere se stessi
Affrontare l’onda travolgente dell’empatia, entrando in connessione con il vissuto emotivo dell’altro e comunicando la nostra comprensione, necessita un buon livello di auto-conoscenza. Quando proviamo dolore, gioia o delusione è importante riflettere sulle proprie emozioni in modo attento. Questo ci permette di andare a fondo e di comprendere al meglio le nostre reazioni emotive.
Si parla di Intelligenza Inter-Personale quando ci si riferisce all’abilità nell’interazione con gli altri, come ad esempio la sensibilità alle emozioni, al temperamento altrui, alla motivazione e alle intenzioni delle altre persone. Essa risiede proprio nell’empatia.
Ascolto
Una competenza spesso poco considerata, a causa di uno stile di vita sempre più frenetico che non lascia tempo al silenzio. Ascoltare l’altro, le sue motivazioni e osservare il suo comportamento ci aiuta a diventare empatici. Non dare il giusto spazio all’altro, affrettando le nostre conclusioni, non crea la giusta connessione tra noi e lui. Impariamo ad ascoltare, è il primo passo per fornire un aiuto concreto.
Spostare il focus
Il punto di partenza siamo senza dubbio noi e la nostra esperienza, ma di empatia si parla sempre in riferimento a qualcun altro. Impariamo a immedesimarci nel vissuto dell’altro, facendo attenzione a non renderlo troppo vicino a noi. La sua esperienza non ripercorrerà per forza la nostra, immedesimarsi nei panni dell’altro richiede anche questa flessibilità.
Non giudicare
L’atteggiamento giudicante non è compatibile con l’empatia. Se diamo ascolto all’altro con l’obiettivo di giudicare il suo vissuto emotivo non riusciremo ad entrare in connessione con lui. Stiamo etichettando l’altro e ci stiamo ponendo in una posizione superiore a lui, pronti a dirgli come agire. Noi siamo sul suo stesso piano, comprendiamo senza giudizi e stiamo pronti a trovare insieme una soluzione.
Comunicare con chiarezza
Non stiamo parlando di vera e propria comunicazione assertiva: l’obiettivo qui è far capire all’altro che percepiamo vicino il suo vissuto emotivo. La comprensione è la chiave del cambiamento, se noi riusciamo a capire in profondità diamo all’altro la possibilità di farlo a sua volta. Analizzare il suo vissuto emotivo e le sue motivazioni, con noi pronti a fornirgli aiuto.
Vedi anche:
Empatia online, Esiste?
Il mondo virtuale entra a far parte della nostra quotidianità, ogni giorno di più. Attraverso i social network e internet, sembra spesso più semplice empatizzare con la persona che sta dall’altra parte dello schermo. La mancanza di empatia dilaga invece, spesso e volentieri. Anche nel rapporto tra Internet e ragazzi è centrale sviluppare empatia. Attraverso il mondo virtuale condividiamo tanto della nostra quotidianità ed empatizzare con chi “vediamo” ogni giorno può venire spontaneo. Dobbiamo tenere a mente la nostra felicità.
Entrare in connessione con l’altro non richiede per forza la vicinanza fisica, il vissuto emotivo può essere comunicato con mezzi molto diversi. Lo schermo di computer può portare a due esperienza molto diverse, che dipendono tanto da noi e dalle nostre caratteristiche individuali. Possiamo percepire lo schermo come muro invalicabile, senza riuscire a comprendere fino in fondo lo stato d’animo dell’altro. Questo, spesso, porta a mettere in atto comportamenti che difficilmente potremmo riprodurre nella vita reale: commenti negativi e insulti nascosti sotto un velo di “sincerità”. Dall’altra parte, possiamo imparare a considerare lo schermo come una forma differente della “giusta distanza” di cui abbiamo già parlato. L’empatia online esiste e può esistere, come abbiamo scoperto in questo ultimo anno di lockdown, che ha rivoluzionato i rapporti trasformandoli in telematici. Vedi anche: