Transfert e Controtransfert: Definizione e Prospettive

Indice

Transfert e controtransfert sono due concetti molto noti e discussi nell’ambito della psicologia dinamica. Questi termini, però, inglobano molteplici sfaccettature che è possibile comprendere soltanto ripercorrendo l’evoluzione della definizione di transfert e controtransfert e considerando questi vocaboli in relazione agli autori di riferimento.

Qui vedremo la definizione dei due termini come riportata da Umberto Galimberti sul suo dizionario di psicologia. Poi attenzioneremo le somiglianze e le differenze nelle interpretazioni date da autori come Sigmund Freud – che per primo se ne è occupato dando vita a questi termini –, Carl Gustav Jung, Melanie Klein, Betty Joseph, Annie Reich, Maxwell Gitelson, Donald Winnicott, Paula Heimann, Heinrich Racker, Harry Stack Sullivan, Harold F. Searles e Theodore J. Jacobs.

Tutte queste interpretazioni, dalle più recenti alle più distanti nel tempo, permetteranno in questa sede di osservare i concetti di transfert e controtransfert da più angolazioni. Il fine è ottenere una iniziale ma comunque lucida comprensione di queste terminologie ritenute fondamentali all’interno della relazione analitica.

Definizione di Transfert

Alla voce ‘transfert’ del dizionario di psicologia redatto da Galimberti (2006), compare questa definizione: «il transfert designa in generale la condizione emotiva che caratterizza la relazione del paziente nei confronti dell’analista, e in senso specifico il trasferimento sulla persona dell’analista delle rappresentazioni inconsce proprie del paziente.

Il transfert dell’analista sul paziente è comunemente denominato controtransfert» (Galimberti U., Nuovo dizionario di psicologia. Psichiatria, psicoanalisi, neuroscienze).

Origine di Transfert e Controtransfert

Il concetto di transfert è nato con Freud e ha poi assunto sfumature diverse attraverso i vari studiosi che ne hanno attenzionato il tema. Iniziamo osservando l’interpretazione freudiana più nel dettaglio. Secondo il pensiero di Freud, il rapporto che si instaura tra terapeuta e paziente è caratterizzato dal transfert e dalle resistenze.

Freud ha elaborato il concetto di transfert in maniera graduale, partendo innanzitutto dal concetto di Spostamento. Infatti, il paziente ‘sposta’, nel transfert, i propri conflitti intrasoggettivi – esperiti durante l’infanzia – sull’analista.

Il transfert, sempre nell’ottica freudiana (1938), «è ambivalente, abbraccia atteggiamenti positivi, teneri, così come negativi, ostili, verso l’analista, messo di regola al posto di un genitore, del padre o della madre» (Freud S., Compendio di psicoanalisi e Alcune lezioni elementari di psicoanalisi).

Può essere pertanto ‘positivo’ o ‘negativo’ in relazione al tipo di sentimento che emerge, e si può distinguere in affettuoso oppure ostile. La natura di tale sentimento dipende quindi dalla relazione che si è intrattenuta con i genitori ed è per questo che può portare con sé tratti ambivalenti.

Prospettive di Jung e Klein

Jung (1935), padre della psicologia analitica, rivede il concetto di transfert e si discosta dalla visione freudiana che lo definisce come necessariamente di natura sessuale. Secondo l’esperienza di Jung, il transfert ‘erotico’ è soltanto una delle tante possibili facce del transfert.

Tanti altri contenuti, di carattere emotivo, si proiettano allo stesso identico modo dei contenuti di carattere erotico. Insomma, Jung sposta l’attenzione dalla natura puramente erotica del transfert per darle una definizione più ampia che includa qualsiasi tipo di contenuto inconscio che si attiva e si manifesta tramite proiezione.

Il transfert risulta poi essere più o meno intenso in relazione all’importanza che questi contenuti inconsci hanno per il soggetto che ne resta coinvolto (cfr. Jung C.G., Fondamenti della psicologia analitica, in Opere, in Opere, vol. XV).



Un’altra visione di transfert arriva anche da Melanie Klein (1952), psicoanalista austriaca-britannica. Secondo Klein, più di tutto il resto, attraverso il transfert si manifestano le relazioni oggettuali risalenti ai primissimi anni di vita del paziente. Queste possono essere ricostruite proprio grazie al meccanismo del transfert (cfr. Klein M., Le origini della traslazione, in Scritti 1921-1958).

Transfert e Terapia

Per Freud, il transfert può rappresentare una resistenza al lavoro di analisi, una coazione a ripetere dei rapporti avuti coi genitori durante l’infanzia o un’attualizzazione di conflitti inconsci. Freud (1922) passa dal considerare, inizialmente, il transfert come un qualsiasi altro sintomo che ostacolava la relazione terapeutica, a vederlo invece anche come utile ai fini della terapia.

Infatti, Freud scrive: «Il transfert, che nella sua forma positiva come in quella negativa si pone al servizio della resistenza, si trasforma nelle mani del medico nel più potente ausilio del trattamento, e sostiene, nella dinamica del processo di guarigione, una parte cui non sarà mai dato troppo rilievo» (Freud S., in Opere, vol. IX). Insomma, il valore e i benefici che il transfert può apportare in seduta sono da considerarsi di grande rilevanza.

Jung (1935), invece, interpreta il transfert collegandolo al fenomeno della Proiezione. L’intensità del transfert è quindi corrispondente all’intensità del contenuto inconscio che viene proiettato. Secondo Jung, l’analista ha il compito di assecondare questa proiezione e di effettuarne poi una restituzione al paziente, permettendo così a quest’ultimo di avere accesso al contenuto evidentemente importante per il paziente stesso e che sarebbe difficile recuperare in altro modo (cfr. Jung C.G., Fondamenti della psicologia analitica, in Opere, vol. XV). Il transfert diviene quindi fonte essenziale e diretta di informazioni cariche di significato per il paziente.

E il controtransfert?

Il controtransfert, dall’altro canto, indica il vissuto emotivo complessivo che ha l’analista nei riguardi del paziente. Questo vissuto risulta essere uno strumento prezioso per comprendere in che modo si è strutturata la comunicazione con il paziente e per orientare quindi le proprie risposte emotive. Il controtransfert si riferisce, dunque, all’insieme delle reazioni inconsce che il transfert del paziente va a indurre sull’analista.
Anche in relazione al controtransfert, troviamo definizioni diverse tra i vari autori.

Freud e il controtransfert

Secondo Freud (1910), il controtransfert rappresenta i sentimenti inconsci smossi dal paziente sull’analista. L’analista deve padroneggiare il controtransfert che potrebbe rappresentare un limite durante il suo operato (cfr. Freud S., Le prospettive future della terapia psicoanalitica, in Opere, vol. VI). Freud (1911-1912), parlando della regola dello specchio, sosteneva che «Il medico deve essere opaco per l’analizzato e, come una lastra di specchio, mostrargli soltanto ciò che gli viene mostrato» (Freud S., Tecnica della psicoanalisi, in Opere, vol. VI).

Quindi, per il padre della psicoanalisi, il controtransfert rappresentava un ostacolo da tenere a bada ai fini di preservare la bontà del lavoro terapeutico, in quanto impediva l’atteggiamento di distacco emotivo e di impassibilità nel professionista, elementi – questi ultimi – essenziali a suo dire per portare avanti un lavoro da potersi considerare di qualità. Il controtransfert poi viene considerato via via da altri studiosi che, al contrario di Freud, notano in questo fenomeno plurimi aspetti positivi e propedeutici ai fini del lavoro terapeutico.

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Il controtransfert junghiano

Tra questi ultimi troviamo Jung (1929) che, considerando l’analisi innanzitutto come una relazione, ritiene il controtransfert fondamentale per la terapia stessa. Esso, infatti, si presta da strumento di conoscenza. Il paziente, a detta del padre della psicologia analitica, riesce a influenzare il terapeuta, provocando veri e propri mutamenti sul suo inconscio. «Esistono nel rapporto fra terapeuta e paziente fattori irrazionali che operano una reciproca “trasformazione”, alla quale la persona più forte, più stabile, dà il colpo decisivo» (Jung C.G., I problemi della psicoterapia moderna, in Opere, vol. XVI).

Jung, quindi, accoglie il controtransfert considerandolo come elemento fondante della reciprocità trasformativa che si ha tra terapeuta e paziente; in questa relazione entrano in gioco sia la coppia formata dall’Io dell’analista e dall’Io del paziente, sia la coppia costituita dall’inconscio dell’analista e dall’inconscio del paziente. È poi la comunicazione tra tutte queste parti, soprattutto tra le ultime due, a creare gli elementi strutturanti dell’analisi stessa.

Klein e controtransfert

Secondo Klein, la relazione che l’analista instaura con il paziente può essere paragonata a quella di un contenitore materno e può quindi permettere al paziente di introiettare nuove esperienze relazionali sulla base di com’è stato trattato nel tempo presente (cioè, nel momento in cui sta avvenendo l’analisi). Per introiezione si intende il processo mediante il quale si accolgono oggetti o aspetti del mondo esterno, attribuendo a sé stessi le rispettive qualità [cfr. Ferenczi S., Introiezione e transfert (1909), in Opere (1989-1992), vol. I].

Andando avanti, la scuola kleniana, in particolare con Betty Joseph (1975), dà al controtransfert il ruolo di strumento privilegiato per conoscere la natura della relazione terapeutica: «molto di ciò che noi sappiamo del transfert proviene dalla nostra comprensione di come il paziente agisca su di noi per le più svariate ragioni; di come i pazienti cerchino di attirarci nel loro sistema difensivo; di come essi agiscano inconsciamente con noi nel transfert, cercando di farci agire con loro; di come essi trasmettano aspetti del loro mondo interno, costruito nell’infanzia e poi elaborato nella fanciullezza e nell’età adulta, esperienze che spesso non trovano espressione in parole e che noi possiamo captare solo a partire dai sentimenti che sorgono in noi, attraverso il controtransfert» [Joseph B., The patient who is difficult to reach, in P. Giovacchini (a cura di), Tactics and techniques in psychoanalytic therapy].

Tre interpretazioni recenti di controtransfert

Passando, invece, a tempi più recenti, è possibile individuare tre principali correnti di pensiero riguardanti le considerazioni sul controtransfert.

  1. Annie Reich, Maxwell Gitelson e Donald Winnicott differenziano un controtransfert “acuto”, riferito a un paziente nello specifico, da un controtransfert “cronico”, legato invece alla personalità dell’analista. Qui il controtransfert viene visto come particolarmente ricollegabile ai bisogni e ai conflitti inconsci dell’analista e può, pertanto, creare degli ostacoli alla comprensione del quadro relazionale.
  2. Paula Heimann ed Heinrich Racker riconoscono invece il grande potenziale del controtransfert, che concede un accesso privilegiato al disvelamento dei problemi relativi al paziente.
  3. Una terza prospettiva è poi quella di Harry Stack Sullivan, Harold F. Searles e Theodore J. Jacobs, dove transfert e controtransfert vengono semplicemente ricollegati al rapporto tra analista e paziente, all’interno della quale l’interazione è continua e in cui centrale è innanzitutto l’empatia dell’analista.

Transfert e controtransfert nella prospettiva psicodinamica

A prescindere dall’autore di riferimento, nell’ottica psicodinamica, transfert e controtransfert sono due elementi importanti all’interno della relazione terapeutica. In ordine a tutto ciò, è fondamentale conoscerne i principali meccanismi coinvolti per poter monitorare a pieno e con consapevolezza quello che accade nel rapporto tra paziente e analista.

Avere cognizione dei procedimenti teorici e dei risvolti pratici di transfert e controtransfert, permette all’analista di attenzionare al meglio il lavoro terapeutico e di ottenere quante più informazioni utili in vista della comprensione del paziente, delle sue motivazioni inconsce e di ciò che proietta in seduta relazionandosi con il professionista.

Curiosità

Monitorare i processi coinvolti nel transfert e nel controtransfert non risulta soltanto utile ai fini di ottenere una quanto più ampia visione di ciò che accade tra analista e paziente. Diventa fondamentale anche nell’ottica di rispettare i confini del setting. Un testo interessante in merito e molto utile per gli addetti ai lavori è Violazioni del setting di Glen O. Gabbard.

Gabbard, anche attraverso una interessante rassegna di eventi storici – si parla delle violazioni che hanno visto coinvolti Freud, Jung, Sabina Spielrein, Sandor Ferenczi, Elma Palos, Ernest Jones, Loe Kann –, commenta e spiega come il mantenimento dei confini in seduta sia legato e garantito anche da una attenta monitorizzazione dei processi emotivi (e non) coinvolti nel transfert e nel controtransfert. 

Enactment?

L’autore commenta in particolare il fenomeno dell’enactment controtransferale. In generale, per enactments si intendono «tutti i comportamenti di entrambi i membri della relazione analitica, anche quelli verbali, scaturiti dall’intensificarsi della componente di azione delle nostre parole, creata dalle limitazioni e dalla spinta regressiva insita nelle regole analitiche. [si tratta delle] interazioni regressive (difensive) all’interno della coppia sperimentate da entrambi come una conseguenza del comportamento dell’altro» (McLaughlin J.T, “Clinical and theoretical aspects of enactment”, In Journal of the American Psychoanalytical Association, 39, 1991).

Nello specifico, l’enactment controtransferale relativo al comportamento dell’analista riguarda il tentativo di attualizzare una fantasia transferale che si traduce, appunto, in una reazione controtransferale (cfr. Chused Judith F., “The evocative power of enactments”, In Journal of the American Psychoanalytical Association, 39, 1991).

In sintesi, nella letteratura psicoanalitica attuale, l’enactment controtransferale indica che il controtransfert dell’analista venga creato congiuntamente dal paziente e dal terapeuta (Cfr. Gabbard, “Countertransference: the emerging common ground”, In International Journal of Psychoanalysis, 76). In pratica, il paziente va a suscitare nell’analista certe risposte, le quali vengono poi modellate dai conflitti personali dell’analista stesso e dalle sue rappresentazioni interne del sé e dell’oggetto. Il tutto si congiunge nella risposta controtransferale.

All’analista viene complessivamente chiesto di comprendere il paziente, di essere cortese e rispettoso, di mettere da parte i propri desideri e interessi in vista di un prendersi cura totalmente incentrato sul benessere di chi ha di fronte. Questo può comportare la messa in gioco di una grande vastità di emozioni che vanno opportunamente accolte ma anche indirizzate e contenute verso una strada etica e opportuna al contesto professionale.

Gli errori in cui si può incappare sono innumerevoli, ma con le giuste attenzioni e una corretta conoscenza teorica della cornice analitica, dei confini analitici e dell’oggetto analitico, è possibile tenersi in guardia e mantenere il proprio operato all’interno degli standard etici necessari, concedendo così all’analizzato di usufruire al meglio dello spazio terapeutico, godendo di tutti i benefici annessi.