Indice
Disforia di genere, una condizione di disagio provocato dalla sensazione di non appartenere alla categoria di genere a cui si è stati attribuiti nel momento della nascita. Un vissuto di incongruenza rispetto alla propria identità di genere che provoca disagio e sofferenza.
Quella della disforia è un’etichetta diagnostica controversa ed estremamente dibattuta. Infatti, se per lungo tempo è stata considerata un “disturbo”, ad oggi se ne parla in relazione alla sofferenza che la persona può sperimentare. Resta tuttavia la possibilità di una diagnosi, che decade nel momento in cui la condizione di disagio viene meno.
Perché, dunque, se la disforia di genere non è più considerata una psicopatologia è ancora presente nei più importanti manuali diagnostici dei disturbi mentali? Ebbene, in questo articolo risponderemo a questa importantissima domanda, oltre ad esaminare gli aspetti che caratterizzano tale diagnosi.
Disforia di Genere, Significato
Che cos’è la disforia di genere? Per poterci arrivare, occorre fare prima una precisazione. La nostra società tende a categorizzare le persone sulla base del cosiddetto “sesso biologico” in maschi e femmine. Ciò genera tutta una serie di aspettative relative al modo di cui questi soggetti debbano comportarsi, sentirsi e pensare. Gli stereotipi di genere sono tuttavia inesatti: non rispecchiano realmente la realtà, ma la semplificano in modo eccessivo perché non tengono in considerazione la grande variabilità legata ai generi. Le identità maschile e femminile, infatti, sono solo due delle molteplici possibilità, che vengono assegnate già prima della nascita quando, con l’ecografia, genitori e medici scoprono il sesso del feto. Poiché sono gli altri ad inserire la persona all’interno di una specifica categoria di genere, è più opportuno parlare di “sesso attribuito alla nascita”, piuttosto che di “sesso biologico”.
In questo scenario appena descritto è possibile che alcuni non siano d’accordo con l’attribuzione che gli è stata imposta dall’esterno. Possono infatti sentono di non appartenere a quella determinata categoria o, comunque, di non aderire completamente a quel modello di genere. Stiamo parlando delle persone transgender. Per approfondire l’argomento puoi leggere l’articolo dedicato alle identità di genere non-binarie.
Un errore comune, che deriva dal concetto di sessualità binaria, è quello di pensare che se una persona non si identifica con il genere attribuito alla nascita, allora soffrirà per questo e farà di tutto per identificarsi con l’identità di genere che sente più sua. Questo può essere vero per alcuni, ma non per tutti. Ed eccoci arrivati al concetto di disforia.
Vedi anche: bias.
La disforia di genere è un’espressione che viene utilizzata per descrivere il disagio affettivo e cognitivo in relazione al genere assegnato alla nascita. E’ un vissuto di sofferenza che accompagna in alcuni casi l’incongruenza di genere.
Disforia di Genere, Sintomi
La percezione di non appartenere al genere assegnato per nascita può essere presente già in età molto precoce, a partire dai 2 anni vita. La disforia di genere si manifesta attraverso pensieri, emozioni e comportamenti che rivelano il forte desiderio di appartenere ad una categoria di genere diversa da quella in cui si è stati inseriti alla nascita.
Nello specifico, i criteri diagnostici del DSM 5, che vedremo meglio in seguito, sottolineano come il disagio per la mancanza di congruenza tra genere espresso e genere attribuito possa avere due origini distinte. Sulla base di questa distinzione, è possibile individuare due forme di disforia:
- Anatomica: rifiuto per le proprie caratteristiche sessuali a favore di quelle dell’altro genere (che è diverso da quanto accade invece nella dismorfofobia peniena, in cui non è rifiutato il pene, ma la dimensione o la forma possono essere fonte di preoccupazione).
- Relativa al ruolo sociale: preferenza per attività e ruoli tipicamente dell’altro genere, con volontà di essere trattato come tale.
Disforia di Genere Infantile
In età infantile la disforia di genere (e il corrispettivo vissuto di sofferenza) può essere comunicata all’adulto in diversi modi. Spesso sono presenti affermazioni verbali sul fatto di appartenere ad un genere diverso dal proprio, con domande relative all’identità e ai ruoli di genere. La consapevolezza di aspetti complessi come questi dimostrata dai bambini (soprattutto quelli più piccoli) è qualcosa che colpisce molto i loro genitori e le famiglie. È un campanello d’allarme forte che segnala il fatto che esiste davvero un’incongruenza nell’identità di genere del bambino. Non si tratta di un semplice “far finta”!
Il mezzo che i bambini transgender utilizzano con naturalezza per raccontarsi è il gioco. L’attività ludica si manifesta con la preferenza per giocattoli e ruoli tipicamente dell’altro genere, unita alla ricerca di compagni di gioco del genere a cui il bimbo sente di appartenere. Anche la scelta dei vestiti può seguire questa linea: il bambino può preferire travestimenti e abbigliamenti tipici del genere opposto, sia durante i suoi giochi che nello svolgimento di attività quotidiane, come l’andare a scuola.
I bambini transgender possono, inoltre, sperimentare o meno sensazioni negative relative ai loro organi genitali, al pari degli adolescenti e degli adulti.
Per alcuni questo vissuto persiste e si protrae anche dopo l’età soglia della pubertà. Per altri, invece, possiamo dire in modo estremamente semplicistico che si è trattato di una “fase”, in quando con la pubertà il senso di incongruenza di genere viene meno e il bambino torna ad identificarsi con il genere assegnato alla nascita. I motivi per cui ciò avviene sono ad oggi ancora sconosciuti. Si è tuttavia notato che più precocemente si manifesta la disforia, più tende ad essere stabile nel tempo.
Disforia di Genere nell’Adulto e nell’Adolescente
In adolescenza ed età adulta la mancanza di congruenza tra genere espresso e attribuito alla nascita si manifesta con modalità più consone a queste età. Il desiderio di appartenere ad un genere alternativo al proprio si accompagna alla volontà di avere caratteristiche sessuali primarie e secondarie di tale genere, oppure di voler essere considerati parte di quella categoria di genere.
Le persone transgender tendono a calarsi nei ruoli di genere che maggiormente sentono propri, con vestiti e atteggiamenti che meglio riflettono la loro identità sessuale. Per alcuni questo si concretizza anche nella ricerca di cambiamenti a livello corporeo indotti da percorsi di medicalizzazione.
Disforia di Genere, Cause
Le cause della disforia di genere non sono ancora state accertate. Gli studi condotti in merito sono, tra l’altro, ancora pochi e i risultati raccolti molto ambigui.
Scarse evidenze sono emerse rispetto alla familiarità della disforia, ovvero genitori o parenti che a loro volta hanno sofferto per la loro incongruenza di genere. Ricerche sui gemelli hanno evidenziato una maggiore probabilità di disforia in gemelli omozigoti rispetto a quelli eterozigoti. Questi aspetti hanno sollevato il dubbio che l’incongruenza di genere possa avere un’origine genetica. Inoltre, alcuni esperti hanno notato alterazioni nei geni responsabili della produzione di ormoni sessuali in utero e particolarità nell’anatomia cerebrale delle persone trans.
Dal punto di vista psicologico, il filone psicodinamico ha ipotizzato il ruolo delle dinamiche di attaccamento (vedi anche: Omogenitorialità), che tuttavia resta ancora da accertare.
Insomma, i dubbi sulle cause bio-psico-sociali che concorrono all’insorgenza della disforia sono ancora molti.
Un aspetto tuttavia da tenere in forte considerazione è il ruolo che giocano i cosiddetti “interventi di attribuzione del sesso” a cui vengono sottoposti i bambini e le bambine che, per motivi anatomici, non rientrano completamente nella categoria di “maschio” o “femmina”. Sono le situazioni che si definiscono di “intersessualità”, in cui la persona ha un aspetto che non è né tipicamente maschile né tipicamente femminile. Il pensiero comune fino a non molto tempo fa (ma purtroppo ancora ad oggi valido per alcuni) era che, per evitare future sofferenze psicologiche, bisognasse intervenire chirurgicamente il prima possibile per “correggere” l’anatomia della persona. Questo sempre secondo l’assunto sessista che, se non si rispecchia lo stereotipo del proprio genere di appartenenza, allora questo indurrà una condizione di sofferenza.
In realtà, questi interventi tendono a causare esattamente quello che cercano di prevenire: disagio indotto dalla mancanza di congruenza con il genere a cui si percepisce di appartenere.
Conseguenze dell’Attribuzione del Sesso
Le persone che subiscono (si, perché non sono loro a sceglierlo) interventi di attribuzione del sesso sono maggiormente predisposte a sviluppare la disforia di genere o, comunque, incertezze relative alla propria identità di genere. Aspetti non trascurabili sono, inoltre, quelli che si ripercuotono sulla dimensione fisica. L’intervento può infatti causare infertilità, incontinenza e perdita di sensibilità sui genitali. Quest’ultimo fattore mina in modo particolarmente importante la possibilità di godere della propria vita sessuale, provocando disfunzioni sessuali come, in primo luogo, anorgasmia (vedi anche: orgasmo).
Le persone intersessuali, al pari di qualunque altra, devono poter essere libere di auto-determinarsi, cioè di scegliere per contro proprio eventuali percorsi di medicalizzazione e di non essere giudicate per le loro peculiarità in termini di identità, orientamento e ruolo di genere.
Vedi anche:
Test per la Disforia
Se avete dei dubbi riguardanti la vostra identità di genere e vi viene in mente di cercare “test per l’identità di genere”, ecco, non fatelo! Capiterete in siti che promuovo questi fantomatici test basati proprio su quegli stereotipici di genere da cui state cercando di fuggire. Della serie “sei più maschio o più femmina?” A proposito, la prima domanda (e non sono andata oltre) era “quanto tempo ci metti per prepararti prima di uscire di casa?”
Aiuto.
L’unico modo per trovare delle risposte alle vostre domande è quello di rivolgersi ad un esperto, uno psicologo o uno psicoterapeuta formato su tematiche di sessualità, possibilmente non solo etero-normative. In un contesto clinico, con una persona adeguatamente preparata, potrete esplorare i vostri vissuti e le dimensioni che compongono la vostra identità, sessuale e non.
Per la diagnosi di disforia di genere sarà necessario affrontare alcuni colloqui di valutazione psicologica, in cui possono essere somministrati dei test a supporto della diagnosi. Uno abbastanza utilizzato è quello validato da Deogracias e colleghi nel 2007, il Gender Identity/Gender Dysphoria Questionnaire for Adolescents and Adults (GIDYQ-AA).
Ma se l’obiettivo della psicoterapia è quello principalmente di ridurre il disagio psicologico che caratterizza il vissuto della persona, perché è così importante accedere ad una diagnosi formale di disforia?
Beh, senza un documento che accerti la presenza di una reale sofferenza psicologica indotta dall’incongruenza tra il genere espresso e quello assegnato alla nascita, non è possibile accedere ai percorsi di medicalizzazione.
Diagnosi di Disforia
La disforia di genere è un’etichetta diagnostica creata solo negli ultimi anni per sottolineare come la sofferenza per l’incongruenza di genere avesse principalmente origine dal contesto sociale, che nella maggior parte dei casi si dimostra giudicante e non accettante nei confronti delle persone transgender. Prima del DSM 5, se ne parlava in termini molto diversi, alla stregua di un vero e proprio disturbo psicologico.
Ecco, in breve, il processo di depatologizzazione che è stato seguito dagli anni ’50 ad oggi.
- Il DSM I (1952) e II (1968) manco prevedevano la possibilità di questa diagnosi. La facevano rientrare tacitamente nella categoria “deviazioni sessuali” dove, tra l’altro, erano incluse anche tutte le manifestazioni di sessualità che all’epoca non trovavano altra spiegazione. Travestitismo e omosessualità, ad esempio.
- Nel DSM III (1980) la disforia di genere venne classificata sotto il nome “disturbi psicosessuali”, che a loro volta erano divisi in: disturbi dell’identità di genere, parafilie, disfunzioni psicosessuali e altri disturbi. In particolare, si distinguevano il disturbo di identità di genere dell’infanzia dal transessualismo, specifico per le età adolescenziale e adulta.
- Nel 2000 il DSM IV TR fu scorporata dalle parafilie e dalle disfunzioni sessuali e andò a formare una categoria diagnostica a sé stante: il “disturbo dell’identità di genere”.
Ad oggi la disforia di genere è intesa in termini di “sofferenza soggettiva”. Non è più considerata una patologia, ma prevede comunque un’etichetta diagnostica proprio per il motivo di cui abbiamo parlato prima: permettere l’accesso agli interventi di medicalizzazione. Tale processo, infatti, permette di ridurre il disagio e, quindi, di uscire dalla diagnosi di disforia.
È importante considerare che la diagnosi concorre a mantenere lo stigma sociale che ruota attorno alle patologie mentali e che, proprio per questo, si è a lungo discusso sulla decisione di inserire o meno la disforia di genere nei manuali diagnostici.
Le persone transgender tendono a comportarsi come ci si aspetta da loro, colludendo con gli stereotipi di genere e interiorizzandoli.
Problematiche Psicologiche Associate alla Disforia di Genere
Si rivela di fondamentale importanza ridurre il disagio indotto dall’incongruenza di genere a causa delle problematiche psicologiche associate a questa condizione. Tali aspetti, particolarmente presenti durante l’età evolutiva, riguardano:
- Ansia
- Depressione
- Disordini alimentari, causati principalmente dal tentativo di controllare lo sviluppo del proprio corpo durante la pubertà (vedi anche: alimentazione e psicologia)
- Autolesionismo
- Ideazioni suicidarie (presente fino al 60% delle situazioni).
È stato dimostrato che prima si interviene per garantire sostegno e comprensione ai ragazzi transgender, minori sono i rischi per la sua salute e per il benessere psicofisico. Ciò non vuol dire, come vedremo nel prossimo paragrafo, che si intervenga medicalmente già in età precoce.
Percorso di Medicalizzazione
Esistono diverse Linee Guida Internazionali (le più seguite sono quelle del WPATH, World Professional Association for Transgender Healt) per la terapia a persone transgender con diagnosi di disforia accertata, ma tutte concordano nel raccomandare le terapie per la sospensione per lo sviluppo puberale prima che si verifichino i primi cambiamenti fisici tipici di questa fase.
Nel nostro Paese, la legge che rettifica l’attribuzione di sesso è la 164/1982. Tale legge riconosce il diritto all’identità sessuale (che è condizione persona e sociale difficilmente mutabile), permettendo così la modifica chirurgica, ormonale e farmacologica dei caratteri e l’adeguamento del sesso sui documenti. Il tutto previa consulenza psicologica.
Fase 1: Assessment
Il protocollo di intervento prevede che fino al periodo della pubertà non venga, in realtà, svolto nessun intervento di tipo medico. Si assiste la persona e la sua famiglia, supportandoli unicamente a livello psicologico.
Fase 2: Soppressione della Pubertà
Ai primi accenni di pubertà, prima che si verifichino cambiamenti corporei irreversibili (come la crescita in altezza), il protocollo olandese prevede il blocca della produzione di quegli ormoni che tipicamente inducono lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari. Si somministrano infatti farmaci bloccanti ipotalamici, detti GnRHa analoghi, che non permettono nelle femmine la produzione degli estrogeni e nei maschi quella di testosterone.
Questo processo è completamente reversibile e serve sostanzialmente pre mantenere il corpo in una condizione di neutralità, permettendo alla persona di riflettere con la massima attenzione e serenità sulla propria identità di genere. Inoltre, riduce l’insorgenza della disforia di genere ed evita interventi anche molto invasivi in età adulta, come ad esempio la mastoplastica riduttiva in caso la persona non desideri avere il seno.
Esistono ovviamente dei possibili rischi, in quando si va ad intervenire in un momento particolare dello sviluppo. Tuttavia, chi sceglie di trattare farmacologicamente questi ragazzi lo fa perché trova ancora più anti-etico lasciar soffrire un adolescente se esiste uno strumento che può ridurre la sua sofferenza.
Da fine settembre la terapia ormonale è gratuita in tutte le regioni di Italia.
Fase 3: Terapia Ormonale di Affermazione di Genere
Intorno ai 16 anni è possibile, se la persona lo desidera, passare alla successiva fare, quella della terapia ormonale. Si dà inizio al cambiamento fisico indirizzandolo verso la congruenza con l’identità di genere. Per fare questo si somministrano estrogeni alle ragazze trans e testosterone ai ragazzi trans.
Tale intervento è solo in parte reversibile.
Non è l’età che determina la possibilità di accedere alla terapia ormonale, ma la maturità cognitiva dell’adolescente.
Fase 4: Intervento Chirurgico di Affermazione di Genere
L’ultima fase è quella che permette l’accesso all’intervento chirurgico per la modifica dell’organo genitale. Poiché, ovviamente, da qui non si può tornare indietro, per potersi sottoporre a queste procedure la persona deve avere:
- Disforia di genere accertata e ben documentata;
- Almeno 18 anni;
- Capacità di prendere decisioni nella piena consapevolezza di ciò a cui sta andando incontro;
- Controllo su eventuali altre psicopatologie o malattie fisiche in comorbilità;
- Autorizzazione da parte del tribunale, in quanto il personale sanitario non può, eticamente, ledere una parte del corpo sana.
A questi requisiti, si aggiungono eventuali terapie di 12 mesi di tipo ormonale o di sostegno al nuovo ruolo di genere: Ciò allo scopo di aiutare la persona a calarsi socialmente nel genere desiderato prima dell’intervento chirurgico.
Se prima per poter cambiare nome occorreva sottoporsi alle procedure chirurgiche (come se questo rendesse le persone “vere trans”), ad oggi non è più così. È possibile ottenere la rettifica anagrafica se si ottiene l’autorizzazione legale per farlo.
E in Età Adulta?
Cosa succede se la persona desidera compiere un percorso di transizione medico ma non si è sottoposta alle fasi di soppressione puberale e di terapia farmacologica?
Come potrete immaginare, è possibile indurre un processo di femminilizzazione o mascolinizzazione (anche in forma parziale) perfino in età adulta. Tuttavia, i risultati non potranno mai essere come quelli ottenuti seguendo per interno l’iter di medicalizzazione. Ciò nonostante, le persone che decidono di accedere a questo processo lo fanno sempre più spesso in età avanzata, intorno ai circa 35 anni.
Ci sarebbe ancora tantissimo da dire su questo argomento. Se cercate ulteriori informazioni, vi consigliamo di visitare il portare infotrans.it, un sito specifico che fornisce informazioni utili a chiunque sia interessato a sapere cosa il nostro sistema sanitario offre alle persone trans.