The Substance: Quando la Bellezza diventa Orrore Sociale

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Nel panorama del cinema contemporaneo, The Substance, diretto da Coralie Fargeat, si distingue come un’opera capace di fondere sapientemente il body horror con una critica sociale profonda, intima. Attraverso la storia di Elisabeth Sparkle (Demi Moore), il film propone una visione disturbante di come la nostra società moderna tratti la bellezza femminile: ossessione per la giovinezza, oggettificazione del corpo e superficialità mediatica. Di seguito, analizziamo i principali temi che emergono dalla pellicola, intrecciando i vari spunti emersi dai più autorevoli critici e articoli internazionali.


Ossessione per la Giovinezza

Partiamo con il dire che a noi The Substance è piaciuto. È un film adatto a tutti? No. È un viaggio inquietante e grottesco nella realtà che viviamo ogni giorno? Assolutamente sì. Uno degli aspetti centrali di The Substance è l’accento posto sull’ageismo, cioè il pregiudizio che colpisce chiunque superi una certa soglia anagrafica, ancor di più per le donne.

Elisabeth, celebrità televisiva vicina ai 50 anni, perde il posto come istruttrice di aerobica proprio perché ritenuta “fuori tempo massimo”. Questo evento innesca l’incontro con una soluzione disperata: una pozione miracolosa – The Substance – capace di restituirle la giovinezza perduta. Le parole chiave che echeggiano nel film, “A better, younger, a more perfect you”, riassumono il dogma della perfezione fisica a tutti i costi [3]. Il dramma di Elisabeth riflette la condizione di tantissime donne, spesso valutate solo per il loro aspetto esteriore, al punto da subire un costante senso di inadeguatezza non appena compaiono i primi segni dell’invecchiamento.

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L’opera di Fargeat riserva una critica tagliente all’industria della bellezza, dipingendola come un ingranaggio che alimenta e al tempo stesso sfrutta le insicurezze personali. Nel film, il siero che offre l’eterna giovinezza diventa metafora di una catena di prodotti, trattamenti e soluzioni estreme che promettono risultati miracolosi, ma che finiscono per logorare psicologicamente chi ne fa uso. La vicenda di Elisabeth e Sue (la sua versione giovane) evidenzia come il successo e l’accettazione sociale siano spesso legati all’aspetto esteriore, invece che al merito o al talento[2][4]. L’industria della bellezza, in tal senso, non solo vende prodotti, ma coltiva il mito dell’eterna giovinezza, ingabbiando le donne in un ciclo vizioso di consumo e senso di colpa per non essere mai abbastanza perfette.

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La Donna come Strumento

The Substance sottolinea come, nel mondo dello spettacolo, la donna possa essere ridotta a “merce” da esibire. Sue, la controparte giovanile di Elisabeth, ottiene visibilità e ammirazione proprio perché risponde ai canoni estetici richiesti dall’audience maschile. I suoi successi, infatti, non derivano dalle sue capacità ma dalla sua abilità di incarnare l’ideale di bellezza imposto dall’industria mediatica[1][5]. Questo meccanismo racconta, in modo crudo, il dramma dell’oggettificazione: il corpo femminile diventa un bene di consumo, il cui valore dipende dal gradimento del pubblico (o di pochi dirigenti uomini). La donna, privata della sua soggettività, rischia di trasformarsi in un involucro, un’immagine costruita ad hoc per soddisfare sguardi e desideri esterni.

La Dualità dell’Identità Femminile

La lotta tra Elisabeth e Sue – la donna matura e la sua versione giovane – diventa il simbolo di una guerra interiore che molte vivono nella quotidianità. Da un lato, la pressione a restare “perfette”, giovani e desiderabili; dall’altro, la necessità di accettare se stesse, con i segni del tempo e le inevitabili trasformazioni del corpo. Questa dualità mostra come le donne possano sentirsi spezzate tra due poli opposti: la voglia di riaffermare la propria identità reale (Elisabeth) e il bisogno di inseguire modelli irreali (Sue)[3][6]. È un conflitto che evidenzia anche l’assurdità di una competizione fra donne alimentata da regole estetiche esterne, dove il valore di ognuna sembra dipendere dalla posizione che occupa sulla scala della giovinezza.

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Critica alla Cultura dell’Immagine

L’ultimo tassello della riflessione proposta da The Substance riguarda la cultura dell’immagine, dominata da social media, filtri e ritocchi digitali. Ogni giorno, piattaforme come Instagram o TikTok, ci inondano di foto e video “perfetti”, facendo leva sulla nostra insicurezza e spingendoci a un confronto costante con modelli di bellezza irraggiungibili. Nel film, questa tensione si traduce in un vero e proprio body horror: la trasformazione fisica di Elisabeth/Sue assume toni grotteschi per sottolineare la follia di un sistema in cui la bellezza diventa una moneta di scambio, e l’autenticità svanisce a favore di una continua manipolazione di sé[4][5]. In tal modo, The Substance ci invita a riflettere sulle conseguenze nefaste di una società che premia l’apparenza e sacrifica l’umanità.

Nonostante i risvolti cupi e disturbanti, il film lancia un messaggio dal valore dirompente: “Insegniamo alle donne ad essere coraggiose, non perfette.” In un’epoca in cui la giovinezza e la bellezza sono considerate requisiti indispensabili per sentirsi realizzati, la regista Coralie Fargeat ribalta il paradigma, ricordando che la vera forza di una persona risiede nella propria individualità, nell’accettazione delle imperfezioni e nel rifiuto di una perfezione illusoria. Il coraggio di cui parla The Substance è la capacità di riconoscere il proprio valore a prescindere dallo sguardo altrui, di resistere a un sistema che vuole le donne perennemente insicure e in competizione tra loro.

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The Substance come Specchio Grottesco

The Substance non è dunque soltanto un body horror: è uno specchio che riflette e deforma le pressioni reali sulle donne, spingendo gli spettatori a interrogarsi sulle radici di un fenomeno sociale che mescola superficialità, consumismo e misoginia.
La storia di Elisabeth Sparkle mostra come il tempo, l’industria dello spettacolo e la cultura dell’immagine possano congiurare per distruggere l’autostima di chi non si allinea a un ideale inesistente.

Eppure, proprio nello scontro tra Elisabeth e Sue, intravediamo la possibilità di un riscatto: rompere il ciclo dell’ossessione estetica e riscoprire la dignità che viene dall’autenticità e dal coraggio. Come suggerisce il film, l’unica vera “sostanza” da ricercare non è quella che cancella i difetti superficiali, ma quella che ci libera dalla paura di essere noi stessi, invecchiando, sbagliando, cambiando. Perché, alla fine, l’ossessione per la perfezione non fa che condannarci a un eterno, angosciante orrore.

Fonti principali citate

[1] Derek Ex Machina – The Substance Review
[2] WWC Echo – The Substance
[3] This Is For Reel – Review di The Substance
[4] Istituto Marangoni – Riflessione sull’ossessione per la bellezza
[5] Majalla – The Substance and the Dangers of Youth Obsession
[6] Reno News & Review – The Substance e gli standard di bellezza

Con questo, The Substance si conferma come un tassello fondamentale nel dibattito sui canoni estetici e sui vincoli sociali che intrappolano, ancora oggi, milioni di donne. Un film che, dietro l’apparenza di un racconto horror, ci spinge a una riflessione collettiva sul destino della bellezza in una società ossessionata dall’immagine.