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Retention. Traduzione, Significato, Employee Retention

Indice

Retention è nient’altro che il polo opposto del turnover. Turnover e retention sono inevitabilmente legati, due facce della stessa medaglia, potremmo dire. Anche se le strategie di riduzione del turnover possono essere d’aiuto nell’aumentare la retention, parliamo comunque di due fenomeni che poggiano le basi su una psicologia differente: esiste una psicologia del turnover e una psicologia della retention. Quest’ultima si inserisce in un discorso ancora più ampio legato al talent management, di cui la talent retention è una delle fasi. Se, infatti, capire perché la gente lascia un’azienda è importante, lo è ancora di più capire cosa li fa rimanere.

Traduzione di Retention

Bisogna fare molta attenzione se si vuole fare una traduzione di retention in italiano. La difficoltà risiede innanzitutto nel fatto che può riferirsi a più situazioni. In questo caso ovviamente il termine non fa riferimento né alla conservazione dei ricordi (vedi anche: memoria) o al ristagno dei liquidi corporei – per cui eviteremo traduzioni quali “ritenzione”. In ambito aziendale, sia che si tratti di mantenere un cliente o i propri dipendenti, ancora una volta, si mantiene il termine nella sua forma originale e così avverrà anche in questo articolo. Questo ci consentirà di evitare fraintendimenti e ambiguità di sorta.

Retention: Significato

Il significato di retention è abbastanza intuitivo: si tratta di trattenere i propri dipendenti in azienda. Ovviamente parliamo di dipendenti con prestazioni e potenziale notevoli, ovvero quelli che potremmo definire talenti. Ormai è nota l’espressione “guerra dei talenti” (war of talents) con cui si descrive la serrata competizione fra aziende per accaparrarsi i migliori lavoratori sul mercato (causata dalla scarsità di questi ultimi). In quest’ottica, assumere talenti non è affatto sufficiente: è indispensabile evitare che vadano in altre aziende, perdendo così il vantaggio competitivo che possono offrire.

Infatti, Veldsman e Pauw ci ricordano infatti senza troppi giri di parole che:

La vera sfida per le organizzazioni è che i lavoratori di talento possono scegliere dove e come vogliono lavorare. La lealtà organizzativa è diventata una cosa del passato.

Considerando il contesto contemporaneo particolarmente fluido (caratterizzato da volatilità, incertezza, complessità e ambiguità), gli autori sostengono che le aziende debbano farsi 4 domande se vogliono rimanere rilevanti per i potenziali talenti:

  1. Perché un talento dovrebbe voler lavorare per questa azienda?
  2. Cosa può offrire l’azienda per rendersi attrattiva per i talenti? – in sostanza, si parla di talent attraction, altra fase fondamentale del talent management, visto che per trattenerli in azienda devi prima attrarli i talenti.
  3. Come manteniamo alto il livello di engagement dei talenti nel tempo? – il ruolo dell’engagement verrà spiegato a breve.
  4. Come creare una proposta di valore (EVP; employee value proposition) che sia coerente con l’identità aziendale e la percezione esterna del brand? – vedremo più avanti il ruolo dell’EVP.
Curiosità

Se pensi che le grandi aziende non abbiano difficoltà a trattenere i talenti…pensaci meglio. Business Insider mostra la durata media dell’impiego dei dipendenti in aziende come Tesla (2,1 anni), Facebook (2,5 anni), Netflix (3,1 anni), Google (3,2 anni), Apple (5 anni) e altre ancora.

Retention performance management
Astratto vettore creata da vectorjuice – it.freepik.com

Employee Retention

Per cercare di rispondere a queste domande, bisogna aver chiaro come funziona l’employee retention. Una valida spiegazione è fornita dal job demands-resources (JD-R) di Demeourti e colleghi, un modello la cui validità ne ha permesso l’applicazione a diversi concetti della psicologia del lavoro – come lo stress lavoro correlato (vedi anche: mobbing e straining) – grazie al suo legame con l’engagement (stato cognitivo-affettivo caratterizzato da dedizione, vigore e trasporto), che come vedremo gioca un ruolo fondamentale nelle intenzioni di rimanere o andarsene di un dipendente.

In un caso, un eccesso di richieste lavorative (job demands) indurrebbe a comportamenti di disengagement (alienazione, comportamenti di ritiro, burnout, ecc.). È facile immaginare che l’esito di questa situazione siano le dimissioni.

Disporre di tante risorse (job resources), di converso, porterebbe a comportamenti di engagement (maggiore attaccamento e coinvolgimento verso azienda, ecc.). Condizioni simili aumentano le probabilità che una persona decida di rimanere all’interno di un’azienda.

Va da sé che il JD-R si inserisce sempre all’interno di un sistema complesso in cui intervengono tanto fattori contestuali quanto fattori individuali (personal resources). Tali risorse personali sono speranza, autoefficacia, resilienza e ottimismo, che possono moderare o mediare – cioè influire o essere influenzate da – rispettivamente il rapporto tra richieste e disengagement da un lato e risorse ed engagement dall’altro. Un altro fattore che può svolgere una funzione protettiva è la robustezza cognitiva (hardiness; cioè vivere le difficoltà come sfide).

Curiosità

Sai cos’altro studia la psicologia del lavoro? Ecco alcuni esempi:

Employee value proposition (EVP)

Fondamentale in una strategia di retention, l’employee value proposition è quella proposta che si basa su ciò che potenziale talento e azienda si aspettano di dare e ricevere reciprocamente. Detto altrimenti, da un lato il talento offre all’azienda la sua esperienza e le sue competenze (vedi anche: soft skill); dall’altro, l’azienda offre tutta una serie di attributi e benefit che compensano o superano ciò che il talento può dare.

In questo modo, il talento può farsi un’idea di cosa aspettarsi e capire se è intenzionato o meno a entrare a far pare di una determinata azienda, valutando dunque anche la possibilità di rimanerci o meno. Il valore che il talento assegna all’EVP diventa fondamentale perché serve da metro di paragone con le EVP delle altre aziende. In tal senso, appare evidente il legame dell’EVP con questioni legate all’employer branding (in sostanza, la reputazione dell’azienda).

Alcuni di questi attributi che può offrire l’azienda (utilizzabili come linea guida per costruire un’EVP efficace) riguardano:

  • Ambiente lavorativo (ambiente fisico sicuro, strumenti ed equipaggiamento necessari per lavorare, ecc.);
  • Affiliazione (valori, cultura aziendale, rapporti con i colleghi e con i superiori, ecc.);
  • Contenuto del lavoro (un lavoro sfidante, che consenta un buon work-life balance evitando che si diventi workaholic, ecc.);
  • Aspetti retributivi indiretti (benefit, sviluppo individuale, piani di carriera, ecc.);
  • Aspetti retributivi diretti (stipendio, bonus, ecc.).

Insomma, non è semplice costruire un’EVP. Bisogna stare attenti a crearne una che sia credibile, che mantenga ciò che viene promesso, che sia descritta in termini tali da permettere un confronto con le altre aziende dello stesso settore, ecc. Vediamo insieme come si costruisce.

Retention talent management
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Come costruire un’EVP

Per poter costruire un’EVP efficace, è possibile seguire 4 step, adattabili alle singole realtà aziendali. La prima fase consiste nella ricerca e raccolta di insight, con lo scopo di capire cosa costituisce attualmente l’EVP aziendale. Si decide cosa includere e cosa escludere, si studiano i trend del settore per capire cosa si può offrire rispetto ai competitor, guardando anche alle aspirazioni future dell’azienda – ma cercando al tempo stesso di mantenersi quanto più possibile con i piedi per terra. I dati possono essere raccolti tramite le opinioni dei propri lavoratori (sondaggi, focus-group, interviste semi-strutturate, ecc.), eventuali analisi della cultura aziendale, indagini sui valori e sulle ambizioni aziendali e le analisi dei competitor di settore.

La seconda fase consiste nell’articolazione dell’EVP e la verifica di senso, in cui si scrive la proposta e se ne controlla la coerenza grazie al parere di vari membri aziendali su più livelli. In questa fase si verificano anche i tempi, i costi e gli sforzi necessari per implementare tale EVP, creando un piano d’azione.

L’implementazione del piano d’azione è la terza fase, che prevede la comunicazione interna all’azienda per garantirne l’adesione, l’integrazione dell’EVP in processi quali l’onboarding, la gestione delle performance, le strategie di compensation & benefit e altro ancora, il coinvolgimento dei senior leader, la creazione del team che si occuperà dell’implementazione (idealmente composta non solo da membri delle risorse umane) e del monitoraggio, nonché di una fase di chiusura che integra l’EVP a pieno all’interno dell’azienda.

L’ultima fase prevede il monitoraggio e correzioni all’EVP. In questa fase viene valutata anche l’efficacia dell’EVP e la sua sostenibilità a lungo termine.

Generazioni e Retention

Anche se non esiste una soluzione di retention valida per tutti, è anche vero che certe necessità possono essere raggruppate, creando insiemi di persone sufficientemente omogenei ma diversi tra loro: le generazioni. Queste mostrano internamente bisogni, valori, comportamenti, motivazioni, aspettative e stili lavorativi simili.

Approssimativamente una generazione copre un arco di vent’anni. La psicologa Jean M. Twenge, le descrive così:

  • Generazione silenziosa (1925–1945). Influenzati dalle Guerre Mondiali, sono a proprio agio con stili di leadership direttivi e procedure. Attenti ai propri risparmi, vogliono rimanere nella stessa azienda perché valorizzano stabilità e sicurezza. Di conseguenza, apprezzeranno anche validi piani di pensionamento.
  • Baby boomer (1946–1964). Vissuti durante il boom economico, sono più ottimisti, avendo avuto la possibilità di ottenere ciò che desideravano, divenendo così molto competitivi. Anche loro tendono a voler rimanere nella stessa azienda. Per non perdere la loro expertise, è possibile ricorrere a programmi di mentoring.
  • Generazione X (1965–1981). Cresciuti con PC, internet e cellulari, sono tendenzialmente più inclini all’uso della tecnologia. Avendo vissuto in famiglie con due redditi, con un alto tasso di divorzi e in un periodo di grandi licenziamenti, hanno sviluppato un certo senso di indipendenza e adattamento. L’equilibrio vita-lavoro è fondamentale, quindi apprezzano lavorare con flessibilità e in autonomia. Colgono nuove opportunità lavorative, se ritenute interessanti.
  • Millennial (1982–1999). Vivere immersi nella rivoluzione tecnologica li ha resi abbastanza “smart”. Sono dunque particolarmente idonei al reverse mentoring. Anche loro apprezzano un buon work-life balance e dubitano di rimanere nella stessa azienda a vita (quindi scelgono in maniera strategica il loro prossimo impiego). Apprezzano particolarmente le aziende attente al talent development (altro aspetto del talent management).
Curiosità

Sapevi che i Millennial rappresentano ormai la maggioranza dei lavoratori? Vale dunque la pena concentrarsi su strategie di retention pensate su misura per questa generazione.

Retention millennial
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Incentivi (Economici e non) per Trattenere i Talenti

L’appartenenza a una generazione influenza anche il tipo di ricompense che l’azienda può utilizzare all’interno di una più ampia strategia di retention.

Non esistendo un pacchetto retributivo che vada bene per tutti, oggigiorno si tende ad adottare in tal senso un approccio Total Reward, con cui intendiamo quel pacchetto che comprende non solo aspetti quali la retribuzione (che rimane comunque fondamentale) e i benefit, ma anche tutto ciò che può essere concepito come una ricompensa ma che non è immediatamente tangibile. Secondo World at Work, gli elementi del Total Reward sono:

  • Retribuzione;
  • Benefit;
  • Benessere psico-fisico;
  • Sviluppo (di responsabilità, di competenze, di carriera);
  • Riconoscimento del proprio lavoro.
Curiosità

L’importanza delle ricompense monetarie è fuori discussione: per esempio, Apple ha sborsato premi da 180 mila dollari per evitare che i suoi ingegneri andassero a lavorare per Meta (la compagnia che possiede Facebook, Instagram e WhatsApp).

Sviluppo di una Strategia di Ricompensa

Secondo Mark Bussin è utile associare i sistemi premianti al rendimento a lungo termine dell’azienda. Il modo in cui ciò dovrebbe avvenire dovrebbe coinvolgere i dipendenti stessi tramite sondaggi o interviste, assicurandosi che percepiscano la correttezza della strategia di ricompensa oltre a renderli empowered: il coinvolgimento dei dipendenti è infatti essenziale nella riuscita di diverse tipologie di progetto. È comunque bene sottolineare che nei sistemi di gestione delle performance, è opportuno che gli obiettivi assegnati siano chiari e ben definiti e che siano inclusi non solo i risultati ottenuti ma anche le competenze utilizzate per ottenerle. Il risultato di questo lavoro (ed eventuali cambiamenti) dovrebbe essere trasmesso tramite campagne di comunicazione o corsi di formazione sulle policy di ricompensa e su ciò che implicano.

Possiamo in ultima analisi dire che una strategia di ricompensa ben costruita (cioè volta a trattenere i talenti):

  • offrirà un pacchetto flessibile, in quanto do adatto alle varie esigenze generazionali;
  • coinvolgerà i dipendenti, che dunque non la vivranno come un’imposizione;
  • verrà comunicata (insieme a eventuali aggiornamenti) in maniera chiara, fornendo specifica formazione, se necessario;
  • contemplerà certamente aspetti monetari (immediati, a breve e a lungo termine);
  • sarà anche provvista di tutti quegli altri aspetti non strettamente finanziari;
  • sarà legata alle performance individuali ottenute (e alle competenze espresse per raggiungere tali risultati) oltre che a quelle del team o dell’azienda nel suo complesso.

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